Nel corso degli ultimi mesi, diversi paesi sono stati attraversati da forti mobilitazioni o da vere e proprie rivolte. In questo articolo, Dan La Botz analizza la nuova ondata sottolineando differenze e similitudini tra i diversi movimenti, animati dalla volontà comune di trovare una "cura dal capitalismo".
“Gran parte del mondo in questo momento è un laboratorio di ricerca per la cura del capitalismo, e gli scienziati sociali che conducono gli esperimenti sono nelle strade.”
Nel mondo, le persone insorgono in quasi tutti i continenti e in più di una dozzina di nazioni. Negli ultimi sei mesi ci sono state rivolte in Francia, Catalogna, Porto Rico, Hong Kong, Libano, Cile, Ecuador, Honduras, Haiti, Iraq, Sudan e Algeria. Queste rivolte hanno generalmente un carattere popolare e tendente a sinistra; sono furiose, militanti e ribelli. La caratteristica comune tra tutte è che sono rivolte della classe media impoverita, della classe lavoratrice e di quella povera. Questi diversi movimenti hanno superato ovunque i confini del sistema politico. Le ondate di protesta impattano contro le fondamenta dello Stato. Gli attivisti nelle strade, dappertutto, stanno mettendo in discussione il sistema, qualunque sia il modo in cui questo sistema viene chiamato nei posti da cui provengono. Laddove i governi hanno cercato di reprimere questi movimenti, le persone hanno risposto combattendo, rifiutandosi di abbandonare le strade. Cosa soggiace dietro a queste ribellioni, che cosa le ha causate e dove stanno andando?
La situazione politica in ciascuno di questi paesi varia incredibilmente e le cause scatenanti sono molto differenti tra loro: da una proposta di legge discutibile alle elezioni truccate, da decadi di vecchie dittature ormai diventate intollerabili alla crescita del prezzo dei mezzi di trasporto pubblici. In Libano è stata l’imposizione di una tassa sulle videochiamate di Whatsapp. In Ecuador la decisione del governo di aumentare il prezzo del gasolio. In Cile l’aumento del biglietto della metro. In Honduras la scoperta che il presidente ha aiutato suo fratello, a capo di un cartello della droga. In Porto Rico è stato un presidente corrotto e misogino. Ad Hong Kong la promulgazione di una legge che inficiava l’autonomia locale. In Catalogna, nello Stato Spagnolo, la pronuncia di pesanti sentenze per i nazionalisti catalani. In Iraq le persone si sono sollevate contro la disoccupazione, la corruzione e contro un governo che tace. In Algeria e in Sudan è stata la stanchezza della popolazione nel sopportare governi autoritari. In Nicaragua, la riforma delle pensioni. Anche ad Haiti le proteste sono esplose contro un presidente corrotto e autoritario.
Dappertutto, l’innesto è stato diverso. Eppure, ovunque, la questione centrale è il desiderio di essere trattati con dignità e rispetto.
Ci sono elementi comuni tra queste ribellioni: ineguaglianza economica, imposizione dell’austerità e abuso del potere da parte dei governi. La sensazione condivisa è: non gli importa di noi. In molti di questi paesi lo Stato ha perso la sua legittimità e la cittadinanza non ha più fiducia nei tradizionali partiti politici, oltre al fatto che, genericamente parlando, non c’è partito politico nella posizione tale da poter promuovere un’agenda politica alternativa o proporre una nuova leadership. Eppure, le rivolte hanno scosso l’autorità costituita in ogni paese e inviato onde d’urto potenti verso l’ordine politico internazionale. Sembra che ci troviamo in un periodo nel quale rivolte politiche non coordinate tra loro, richiedenti democrazia e una vita degna, si stanno sincronizzando. Ci siamo già passati.
Questa non è la prima volta in cui si è verificata un’apparentemente simultanea rivolta internazionale, o persino rivoluzione. La prima ondata simile – quasi un’intera epoca – accadde nell’ultimo quarto del diciottesimo secolo con il focolaio prima della Rivoluzione Americana nel 1776, poi la Rivoluzione Francese del 1789, seguita dalla Rivoluzione Haitiana del 1804 e dalle Rivoluzioni Latino Americane tra il 1810 e il 1821. Un’altra ondata simile si verificò con la Rivoluzione Europea del 1848 che attraversò Francia, Germania, Austria e Ungheria, giungendo fino all’Impero Ottomano. E nonostante il 1968 non abbia portato nessuna rivoluzione è stato un anno di rivolte radicali, dalla Francia alla Cecoslovacchia fino al Messico. Proprio come oggi, in ognuno di questi periodi di rivolte radicali le cause scatenanti sono state uniche per ciascun paese, ma allo stesso tempo erano ben visibili elementi comuni e spesso lo sono state anche le dinamiche. Mentre in molti casi la borghesia, prima o dopo, si è messa a capo dei movimenti rivoluzionari, sono state comunque le lavoratrici, i lavoratori e i/le povere/i ad aver dato a queste ribellioni un carattere radicale ed averle portate oltre al punto di non ritorno.
In periodi differenti, diversi contesti hanno creato le condizioni prerivoluzionarie e un’ampia varietà di eventi ha innescato movimenti rivoluzionari, ma è possibile discernere dei punti in comune. La crescita del mercato internazionale, delle rivalità imperiali e il contrasto tra l’antico ordine aristocratico e l’emergente società borghese hanno condizionato le rivoluzioni del tardo diciottesimo e del primo diciannovesimo secolo. La crescita del capitalismo in Inghilterra e poi in Francia, le fabbriche e poi le ferrovie, insieme all’innestarsi degli stati liberali e dei governi rappresentativi, hanno portato al conflitto del 1848 e guidato le idee dell’Ovest verso l’Est, finché la minaccia della rivoluzione della classe operaia ha portato la borghesia nelle braccia degli aristocratici, ed entrambi insieme hanno schiacciato sia il movimento democratico che quello socialista. L’espansione e poi il dominio del capitalismo finanziario e delle corporazioni industriali negli stati rivali ha portato all’imperialismo moderno e poi alla Prima Guerra Mondiale nel 1914; successivamente, la guerra coi suoi milioni di morti e distruzioni di massa ha portato alla rivoluzione e poi al collasso degli antichi imperi: Germania, Austria-Ungheria, impero Ottomano. La Rivoluzione Russa dell’ottobre 1917, una rivolta dal basso di operai e contadini, ha portato al tentativo di diffondere i consigli operai e la rivoluzione socialista in Europa e oltre.
La forza trainante dietro le rivolte
Le rivolte di oggi in tutti i paesi che abbiamo nominato sono guidate da forze diverse che hanno ridisegnato l’equilibrio di poteri tra gli Stati nazione, come anche quelli tra le classi sociali all’interno di questi Stati e, simultaneamente, hanno portato alla crisi dell’ordine neoliberale e al più significativo collasso finale dell’ordine instauratosi a seguito della Seconda Guerra Mondiale. La trasformazione della Cina in una società capitalistica di elevato successo, la caduta dell’Unione Sovietica e dell’Europa dell’Est negli anni ’90 e la successiva recessione del 2008, prese insieme hanno praticamente cancellato le vecchie divisioni del mondo tra capitalista, comunista e terzomondista o, più di recente, tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo. Viviamo ora in un mondo fatto come un mosaico di estrema ricchezza e inutile povertà in quasi tutti i Paesi.
Le forze che stanno alla base di questi sviluppi – alcuni dei quali al momento difficilmente visibili attraverso i getti degli idranti o le nuvole dei gas lacrimogeni – verranno trovate nella riorganizzazione finanziaria dell’economia globale, guidata dal desiderio di profitto e del controllo economico. I magnati e le corporation finanziarie hanno, negli ultimi cinquant’anni, e ad un ritmo ancor più rapido negli ultimi venti, trasformato l’industria in satelliti e microchip, in computer e automazione, in nuove forme manageriali di organizzazione della forza lavoro e creato posti di lavoro controllati da sorveglianza elettronica. L’incredibile aumento della produzione in tutto il mondo – dall’estrazione mineraria all’industria manifatturiera – canalizzata dagli accordi del commercio internazionale e portata avanti dalla logica industriale con i suoi magazzini e navi container ha portato, internamente al contesto economico neoliberale, ad un’enorme crescita di disuguaglianza economica. Ovunque la classe capitalista e i suoi partner politici si sono arricchiti a spese della classe lavoratrice e di quella povera. Tutto questo ha portato ad un tremendo e più che giustificato risentimento nella maggioranza dei Paesi del mondo.
Non c’è dubbio che a seguito della Grande Recessione del 2008 siamo entrati in una nuova era politica dove la ribellione si alterna alla repressione, ad iniziare dal 2011 con il Movimento delle Plazas in Spagna, Occupy Wall Street negli Stati Uniti, le Primavere Arabe in Medio Oriente e Nord Africa. La crisi economica ha dato anche impulso a nuovi partiti nazionalisti di destra e nuove personalità, dalla Lega Nord in Italia all’Alternativa per la Germania (ADF), da Boris Johnson in Inghilterra a Donald Trump negli Stati Uniti. Le ramificazioni della crisi sono ancora percepite quasi ovunque, eppure l’America del Nord (Canada, Stati Uniti e Messico) finora rimangono immuni al contagio.
In tutte queste recenti rivolte, vediamo la classe lavoratrice e povera sollevarsi e agire al di fuori o persino contro le organizzazioni sociali e le istituzioni, i sindacati e i partiti politici che in passato hanno preteso di rappresentarli. Quando i partiti di sinistra e le burocrazie sindacali hanno tentato di regolare questi movimenti, come da tradizione, gli stessi lavoratori hanno bypassato tali istituzioni o le hanno costrette ad agire forzandole a mettere da parte i leader attuali e alterandone le politiche organizzative. Senza un proprio partito politico la classe lavoratrice è spesso incapace di formulare un programma chiaro, ma le sue azioni militanti e i suoi slogan hanno reso oggi abbastanza evidente che essa richiede un tipo di società completamente diverso, in cui le voci dei lavoratori e delle lavoratrici siano ascoltate e le loro esigenze soddisfatte.
Le rivolte odierne hanno caratteri diversi. In Francia il movimento dei Gilet Gialli, che per mesi ha bloccato il traffico in tutto il paese e poi ha portato la protesta nel cuore dei quartieri ricchi di Parigi, è composto da lavoratori e lavoratrici che non hanno sindacati, dai parrucchieri ai manovali, persone che non sono state difese dai sindacati della Confederazione Generale dei Lavoratori (CGT) o dal Partito Socialista. In Cile gli studenti hanno fatto esplodere la ribellione rifiutandosi di pagare il biglietto rincarato e saltando i tornelli, ma quando il governo ha inviato i carrarmati nelle strade per la prima volta dalla dittatura del Generale Augusto Pinochet, i lavoratori portuali sono entrati in sciopero. Ad Hong Kong chiunque, dai cuochi dei ristoranti ai programmatori di computer, si è unito alle proteste. In Nicaragua i più anziani sono stati raggiunti dagli studenti e poi dalla popolazione generale nel barricare intere città.
Praticamente ovunque i governi hanno risposto con tentativi di repressione dei movimenti attraverso l’uso della polizia antisommossa, idranti, lacrimogeni, pestaggi, arresti. Praticamente ovunque ci sono stati morti e molti feriti. In alcuni posti come Hong Kong e Nicaragua la polizia è stata supportata da bande criminali o paramilitari. In Sudan e in Cile è stato inviato l’esercito per schiacciare i manifestanti, mentre fuori dai confini di Hong Kong l’Esercito Popolare Cinese si concentra in attesa dell’ordine ad intervenire. Ma le persone si rifiutano di abbandonare le strade, ne chiamano altre alla raccolta, cercano nuove forme di protesta, come un’idra dalle molte teste che continuano a spuntare dietro l’angolo. Se le rivolte si diffondono, possono iniziare a plasmare lo Zeitgeist contemporaneo, legittimando l'idea di ribellione e sollevando la questione della rivoluzione.
Tuttavia, non bisogna esagerare e dobbiamo ricordarci che tutto questo tumulto si svolge in un contesto di dispotismi radicati e governi autoritari che governano la maggior parte dei popoli del mondo: la dittatura del Partito Comunista che governa il capitalismo cinese, la dittatura personale di Vladimir Putin e la sua mafia oligarchica in Russia, Bashir al Assad in Siria, Rodrigo Duerte nelle Filippine, ma anche il nuovo governo di ultradestra di Jair Bolsonaro in Brasile. Questi governi mantengono le loro popolazioni bloccate per prevenire esattamente quel genere di movimenti militanti per la trasformazione che stiamo discutendo in questa sede.
Sostenere il popolo in rivolta
Tornando alla nostra discussione sulle rivolte stesse, vediamo come la maggioranza della popolazione simpatizza o vi si unisce e per questo diventano rivolte popolari, che significa rivolte di intere popolazioni. Conseguentemente il loro carattere di classe può divenire vago e indeterminato, anche se sono i lavoratori e le lavoratrici a guidarle. Similarmente, le loro richieste di democrazia possono sembrare poco chiare e non ben sviluppate. Gli appelli per la democrazia possono offuscare la contraddizione interna tra chi vuole uno stato liberale e una democrazia parlamentare – dominati dalle banche e dal business – e coloro che invece vogliono una sorta di democrazia della classe lavoratrice dove tutti hanno ugual peso. Esattamente perché queste sono masse in rivolta vi sono contenuti all’interno molti gruppi sociali e idee ampiamente divergenti avviluppate da polemiche e dibattiti – e questo è sia necessario che estremamente positivo.
Il fatto che molte di queste rivolte siano popolari e non guidate da partiti di sinistra né da ideologi socialisti, e che contengano molte correnti contraddittorie, ha causato costernazione tra i gruppi di sinistra sia negli Stati Uniti che altrove. Tale confusione deriva dal fatto che per almeno cinquant’anni essi non hanno mai provato a comprendere e interpretare tali movimenti popolari di massa. Quando un manifestante di Hong Kong mostra un cartello con scritto “Trump liberaci” o un manipolo di nicaraguensi va a Washington per parlare con i deputati repubblicani, una certa sinistra negli altri paesi potrebbe togliere il sostegno alle ribellioni perché non ha esperienza con i movimenti di massa popolari, le loro complessità e le loro contraddizioni. Persino nei paesi stessi in cui tale sinistra risiede essa potrebbe essere incapace di comprendere che cosa accade, come ad esempio in Francia dove per mesi gran parte della sinistra ha accusato i Gilet Gialli di essere fascisti.
Dovremmo, al contrario, riconoscere che le rivolte popolari di massa irrompono con una richiesta di politica e sono alla ricerca dei propri programmi e dei propri leader. Sappiamo dalla Storia che se e quando le rivolte sociali diventano politiche i loro leader, partiti e programmi saranno messi alla prova nella lotta contro il vecchio ordine costituito e nel contrasto tra diverse tendenze interne al movimento per stabilirne uno nuovo. Questi movimenti hanno bisogno di tempo per produrre le proprie prospettive, magari anche dividersi in posizioni diverse o rivali. E per avere questo tempo necessario, hanno bisogno della nostra solidarietà.
Su questo punto possiamo vedere delle tendenze, che rimangono ancora tali e non rappresentano delle alternative politiche. In posti quali Hong Kong, dove si vuole tenere a bada la dittatura, o in Algeria o Sudan dove i movimenti insorgono per spodestare il vecchio ordine dittatoriale, la richiesta iniziale è per una democrazia parlamentare e diritti civili, i quali rappresentano un enorme avanzamento rispetto ad uno stato autoritario. Lo stesso è vero dove le popolazioni credono che il governo stia tradendo le norme democratiche, come in Porto Rico o Honduras.
Tuttavia, la Storia suggerisce che nelle lotte per le democrazie parlamentari la classe lavoratrice solleva anche richieste economiche e sociali, mentre nelle pratiche di lotta potrebbe essere in grado di produrre nuove istituzioni in alternativa non solo ai vecchi partiti, ma possibilmente anche alla vecchia Costituzione e al Parlamento. In altri posti, come in Francia e Cile, sin dall’inizio la lotta per questioni economiche e per la democrazia sono state strettamente connesse. In ogni caso la verità è che, ad eccezione di Algeria e Sudan, e forse Cile, praticamente nessuno di questi Paesi si trova in una situazione prerivoluzionaria, e virtualmente in nessuno di essi la rivolta sociale ha dato vita ad un partito politico rivoluzionario. Eppure, è anche vero che gran parte del mondo è attualmente un laboratorio in cerca della cura dal capitalismo, e gli scienziati sociali che conducono gli esperimenti sono nelle strade.
Tutte queste lotte meritano il nostro supporto, incondizionato in molti casi e non acritico. Supportiamo queste rivolte per la democrazia, ma occorre comprendere che esse, come noi in primis, devono ancora chiarire la propria posizione politica e produrre gli strumenti politici necessari per cambiare la società. Siamo testimoni di un grande movimento dal basso, parallelo tra diversi angoli del globo, per la democrazia e la giustizia economica; stiamo dalla parte di questi movimenti.